#cicatriciebaci: il percorso dell’eroe

#cicatriciebaci: il percorso dell’eroe

Parlare con Amaya Barbara Tosti è un po’ come inseguire il volo di un colibrì, un’esperienza aerea, pulsante, spesso spiazzante, tante sono le cose che evoca: idee, barlumi, tracce volatili di ispirazione. Durante questo percorso Amaya si sofferma a volte su un progetto in via di realizzazione o realizzato, come è il caso di #cicatriciebaci di cui ha deciso di parlarci oggi.

Ma che cos’è “cicatrici e baci”, un modo di rapportarsi alle ferite del corpo e dell’anima, un metodo terapeutico?
“Decidiamo pure di chiamarlo metodo” dice Amaya “Grazie per questo suggerimento-visione, in effetti si tratta del prossimo step evolutivo del progetto. Ti rispondo parlando della sua nascita. In pratica a un certo momento nella mia vita, dopo un ennesimo ciclo di studi terminato che non ha portato a un subitaneo esito di carriera nel mondo del lavoro… un po’ perché ho delle idee molto personali che si devono realizzare nel giusto contesto culturale e artistico, altrimenti non funzionano sul lungo termine… mi sono trovata a riflettere sul fatto che avevo ormai quarant’anni. Stanca di cercare di adattarmi ad un terreno sterile ai miei semi, ho deciso di concentrarmi su qualcosa che volevo veramente fare, su qualcosa in cui potevo donare il massimo di ciò che avevo imparato fino ad allora, pur continuando a muovermi liberamente, continuando a studiare e approfondire, sperimentare, analizzare e quindi mentre opero ho bisogno di uno spazio in cui crescere, una specie di laboratorio alchemico… e allo stesso tempo uno spazio sociale dove poter condividere, insegnare, utilizzare quanto solido in me per il benessere degli altri. Il campo dell’arte è quello che ho sperimentato più a lungo, sia personalmente che in collaborazione con altri, ma non ho trascurato nemmeno il campo della cura dell’altro, tutto in funzione di un continuo sviluppo olistico del sé. In qualche modo mi sono sempre trovata a fare arte al servizio di un cambiamento, un’arte che portasse a una riflessione, a una introspezione, che fosse in qualche modo trasformativa. Dopo questa riflessione indotta da uno stato d’animo, da una necessità, per così dire, organica, ho iniziato a chiedermi come mettere insieme tutto ciò, come fare in modo di fare accadere naturalmente qualcosa che fosse già presente nella mia vita, perché ciò che non è forzato è sempre la cosa migliore.”
“Mi sono resa conto che lo sguardo che potevo evidenziare, che aveva un ruolo principale nella mia vita era lo sguardo legato alle cicatrici. Sono nata con una mutazione genetica molto visibile, quindi anche nel confronto con l’altro e nel fare quotidiano ho sempre avuto questo sguardo filtrato dalle cicatrici. Le ho sempre notate, prima di tutto nella e attraverso la mia famiglia, poi negli e attraverso gli altri. Crescendo sono stata portata a vedere anche le cicatrici più psicologiche ed emotive ad avvertire gli squilibri che creano e a desiderare di armonizzare e trovare bellezza… Questa è la parte dei baci, perché con le cicatrici ci puoi fare molte cose, ma il mio istinto primario è quello dell’armonizzazione, della sanazione, del fare delle cicatrici un mezzo per trovare i propri superpoteri. Detto in altre parole del trovare la via per la migliore integrazione possibile. Da lì sono partita, analizzando le migliori possibilità di applicazione. Ho valutato le mie capacità e conoscenze e ho riflettuto su come strutturarle in questo metodo.”
“Devo dire che da quello che avevo scritto inizialmente non è cambiato molto. Il percorso base resta quello. Comprende tre fasi che ho messo in pratica lavorando con più di trenta persone. Ho fatto tutto gratuitamente perché lo consideravo una sperimentazione e volevo affinare, verificare la funzionalità ed eventualmente capire che cosa mancava. Devo dire che in sé in questa fase non è mancato molto. Ho solo aggiustato qualcosa nel prodotto finale, diversificando maggiormente i tre photocollages conclusivi, ampliando l così la comunicazione liminale con la persona che mi racconta la sua storia di cicatrici.”

Ma che tipo di cicatrici curi?
Ogni tipo di cicatrice. Si può partire dal fisico, o dall’emozionale, perché in qualche modo le cicatrici si manifestano sempre su più livelli.

È vero, ogni cicatrice fisica ha una sua controparte nell’emozionale e viceversa, come hanno dimostrato i più recenti lavori di psicologia che ormai considerano incompleta la sola terapia della parola. Comunque potresti darmi qualche esempio?
Allora… voglio chiarire che le persone quando vengono da me sono libere di iniziare l’avventura del narrarsi come vogliono. Possono raccontarmi una storia vera o fasulla, perché in ogni caso viene da loro, verso di me, ed io so come ascoltarla. Ovviamente non posso citare esempi precisi per questioni di privacy, mi limiterò ad accenni generici. Ci sono persone che hanno lievi cicatrici fisiche, con forti implicazioni a livello emotivo. Queste cicatrici possono essere legate ad operazioni, alla frattura di un dito, alla cura della cellulite, o anche incidenti… Ci sono ferite emozionali dovute al senso di colpa per qualcosa capitato a qualcun altro; ferite e cicatrici lasciate da esperienze di vita molto dure e mortificanti che hanno buttato a terra il protagonista, lasciandolo a lungo senza la possibilità di rialzarsi. Quello che amo in tutte queste storie e in tutto ciò che siamo è che i traumi, le ferite tendono comunque sempre a guarire. Non c’è alcun dubbio in questo, anche se è vero che la guarigione può essere molto dolorosa e difficile, ma nella guarigione viene sempre in aiuto e in supporto l’altro, perché l’altro è sempre parte dalla nostra storia, che lo si voglia o no… Abbiamo questa doppia visione verso dentro e verso fuori e non dobbiamo mai dimenticarci di questa dualità. Per questo motivo se ho bisogno posso andare da un altro a rispecchiarmi per creare questa doppia visione che facilita la guarigione e allo stesso modo qualcuno può venire da me per usare gli strumenti che propongo. La guarigione comunque avviene sempre da sola, noi possiamo solo aiutarla, oppure ostacolarla, ma quest’ultimo non è quello che faccio.

E i baci?
Inizialmente ho pensato ai baci come quelli che noi stessi mandiamo a casa da un luogo lontano. Infatti nel mio formulario c’`e una domanda che vi ‘spoilero’come si dice oggi: Dove vorresti mandare in vacanza la tua cicatrice guarita? Quando andiamo in vacanza e scriviamo le cartoline, solitamente mettiamo in calce: Saluti e baci. Il senso è quello dello spostamento. Immaginiamo di allontanarci dal solito tran-tran, carico di ricordi di traumi e quindi di cicatrici, di essere in vacanza, alleggeriti e felici, in un posto stupendo e di mandare a casa delle cartoline con delle belle frasi che terminano con saluti e baci. Questo mi è sembrato un modo molto bello di descrivere quella sensazione che si raggiunge quando si prende il giusto distacco dalle cicatrici e si respira finalmente liberi con gioia. La cicatrice non è più un peso ma è qualcosa a cui ci colleghiamo con affetto e appunto è proprio lì che diventa uno dei nostri superpoteri. Questa dinamica viene ancor di più sottolineata nell’audiocorso derivato dal metodo #cicatriciebaci dove la dinamica di lavoro su sé stessi è guidata dalla struttura del viaggio dell’eroe. Il percorso si chiama: Il viaggio di una cicatrice nel mare del verbale, sull’isola del sentire e sul palcoscenico della necessità. Ho creato questo corso per dare la possibilità di lavorare da soli sulle proprie cicatrici, anche se chiaramente il lavoro a due offre molte altre possibilità.

Ci sono baci che sono delle ferite?
Si certamente, ma questo fa parte della vita, perché tutto è duale. Ma ogni ferita, ogni trauma, anche quando si presenti sotto la forma di un bacio, una volta integrato, con un carico emotivo rimesso in pace e in ordine, siamo liberi e resta l’emozione che vogliamo-possiamo per raccontare la storia. Perché avrà il finale che sentiamo giusto per noi. Bisogna spesso rompere il senso di realtà, introducendo questa realtà personale e dandole il giusto valore perché non siamo solo la parte materica e questa altra parte invisibile è molto più ampia per quanto non si usi spesso raccontarla. Il linguaggio è molto importante in questo lavoro e non solo nello spazio dell’arte.

Ma appunto qual’è il ruolo dell’arte nel percorso di #cicatriciebaci?
Prima di tutto l’arte è il campo d’azione, lo spazio e il mezzo. Proprio perché questo percorso viene portato avanti attraverso l’arte, viene sganciato da diverse tematiche e ad agganciato ad altre. Infatti, se parlo di arte non sto parlando di terapia e quindi da subito escludiamo il concetto di malato, di malattia o anche solo di malessere. Senza emettere nessun giudizio, intendo escludere da subito tutte le dinamiche settoriali che fanno parte del benessere, della terapia o della medicina.  Ciò significa che stiamo lavorando con quella parte di cui si occupa l’arte, ossia il sensibile, le sensazioni, le emozioni, le aspirazioni, l’ispirazione, l’espressione. Quindi il ruolo dell’arte è quello di definire il campo d’azione, di sperimentazione e anche le metodologie. Infatti nel percorso utilizzo essenzialmente la narrazione, la messa in scena e la fotografia. Ovviamente si possono introdurre anche altre pratiche artistiche che possono essere l’utilizzo del suono, dei colori… ma di base restiamo nel campo della narrazione, della messa in scena e quindi del teatro, della comunicazione attraverso le storie, della comunicazione che parla all’intelletto attraverso il sensibile. Il corpo viene preso in considerazione quando parliamo di messa in scena, ossia di concretizzazione.

Perché hai fatto questa scelta?
Ho scelto queste particolari pratiche artistiche perché il teatro e la narrazione mi permettono di entrare nella struttura della storia e del come ci si racconta e come ci si sente raccontati. Questo ci permette di portare a compimento la riscrittura e l’analisi di ciascuna storia. Poi, passando alla fotografia, o anche a un video, si tratta di fissare uno scalino, un punto d’arrivo. Considero queste fotografie come un’immagine della storia al presente. Non si tratta di bloccare lì il processo ma di rappresentare un momento.

So che hai intenzione di estendere il metodo al territorio oltre che alle persone. In che modo?
Sin dall’inizio le cicatrici del territorio erano una parte fondamentale a cui volevo accedere. Perché le vedo nella storia, nei cosiddetti corsi e ricorsi storici e nelle strutture fondamentali della narrazione che si riflettono nel collettivo. Faccio degli esempi: un territorio che ha subito un’inondazione, una guerra, una catastrofe di vario tipo, un tracollo economico. Ci sono anche traumi più sottili, come ad esempio un cambiamento troppo veloce da un’economia rurale a una industriale, anche quello può essere una cicatrice. Il metodo per lavorare con un territorio può essere molto più vasto e va strutturato molto più decisamente fin dall’inizio rispetto a quello con un individuo e necessita dell’intervento di più collaboratori. Sto preparando appunto un dossier per un luogo particolare. Sto creando le basi per un futuro piano d’azione ripetibile e sono molto felice perché stanno manifestandosi e aderendo al progetto persone che stimo moltissimo. Sono molto commossa nel vedere che questa mia visione ha tanto riscontro.

Come vivi questo sviluppo?
Al momento lavoro costantemente e con disciplina a restare in questa dimensione, perché in passato sono sempre stata una guerriera solitaria e sono sempre stata presa da questa idea di fare fronte alle cose. Dopo la guarigione di questa cicatrice si è aperta una vibrazione che ha attratto e attrae sempre più persone affini, con cui vedo veramente la possibilità di crescere.

Come prevedi lo sviluppo di questo progetto?
Per ora lo stiamo portando avanti e solidificando. Non sappiamo quando inizierà ad essere operativo, ma sappiamo che è destinato a durare nel tempo.

Per saperne di più

https://youtu.be/-8wwL32Mb3M?si=US7a76X2gvqJJA74

Comments are closed.