Jacques Bergier: scienziato esoterista

Jacques Bergier: scienziato esoterista

Jacques Bergier è noto soprattutto come coautore del bestseller degli anni Sessanta Il Mattino dei Maghi, ma in realtà la sua figura è molto più complessa e affascinante di quanto appaia al lettore superficiale. Ebreo di origine ucraina, chimico di formazione, dotato di un’intelligenza superiore alla media, allo scoppio della Seconda guerra mondiale entra nella Resistenza e finisce in un campo di concentramento. Ha lavorato per i servizi segreti e scritto moltissimi libri. Si è interessato di fantascienza e di esoterismo. Ne parliamo con Andrea Scarabelli, vicesegretario della Fondazione J. Evola, direttore del blog Attuali e Inattuali sul sito de Il Giornale nonché traduttore e curatore di due libri di Bergier, ossia Elogio del fantastico (il Palindromo, 2018) e Io non sono leggenda (Bietti, 2019).

Chi è stato Jacques Bergier? Uno scienziato, un esperto di fantascienza o un esoterista?
Tutte e tre le cose, in realtà, senza soluzione di continuità. È stato esoterista perché scienziato e scienziato perché esoterista, identificando nella fantascienza il termine medio di questi due elementi. In buona sostanza, la visione di Bergier, che emerge soprattutto nel Mattino dei Maghi, è la seguente: le scienze tradizionali come una forma superiore e integrale di scienza, definita “esoterismo” solo dall’ignoranza dei moderni. Come esempio Bergier cita un racconto di fantascienza molto calzante, la cui trama è pressappoco la seguente. Immaginiamo che in questo momento una catastrofe atomica distrugga la civiltà umana e che di questa civiltà rimanga solo una scatola di metallo con dentro una penna, un paio di forbici e uno scontrino. Supponiamo che fra tremila anni qualcuno ritrovi l’involucro e s’imbatta nei tre oggetti. Prende la penna e, con un certo sforzo, riesce a fare in modo che scriva ancora: comprende così che millenni prima l’umanità sentiva il bisogno di mettere nero su bianco i propri pensieri. Dopodiché esamina le forbici e non fatica troppo a riconoscervi un utensile usato per tagliare. Infine, si imbatte nello scontrino: un singolare pezzetto di carta che riporta una serie di numeri, accostati secondo una logica che l’uomo del futuro non riesce a decifrare. «Una formula religiosa!» si dice, senza pensarci troppo, confondendo il documento di una compravendita con un formulario esoterico, la cui comprensione è ormai chiusa da sette sigilli. Ebbene, Bergier applica lo stesso discorso alle civiltà del passato, con risultati facili da prevedere.
D’altronde, noi moderni ci basiamo su un razzismo storiografico senza eguali: misuriamo tutte le realtà del passato in base alla nostra. Ne deriva che nel nostro immaginario quelle che ci hanno preceduto o sono civiltà ignoranti o sono culture che hanno preparato la nostra. Lo stesso discorso fa il Nostro a proposito dell’alchimia, che vede come l’antenata della fisica, ma formulando un giudizio di segno opposto rispetto alla definizione che ne danno gli scienziati positivisti. Se questi ultimi dicono che l’alchimia è una fisica allo stadio infantile, per Bergier l’Ars Regia è una fisica ancora più complessa, coinvolgente i complessi rapporti tra microcosmo e macrocosmo, laddove le discipline positiviste considerano solo la dimensione materiale dell’Essere. Quindi per Bergier c’è eccome un legame tra chimica, fisica e alchimia, ma è una caduta di livello. Fisica e chimica sono una degradazione della superiore arte alchemica.
Se ragioniamo in quest’ottica, vediamo che per comprendere davvero l’esoterismo del passato non possiamo prescindere dalla scienza – intesa in senso integrale, ça va sans dire. Viceversa, se vogliamo capire la scienza, non possiamo non riferirci all’esoterismo. Per questo motivo – e qui torno alla tua domanda – Bergier è stato un esoterista vero in quanto vero scienziato e viceversa.

Al momento della pubblicazione del Mattino dei Maghi si è parlato soprattutto dell’altro coautore del libro, ossia di Louis Pauwels. Sembra invece che l’opera debba moltissimo all’intelligenza e alla cultura di Jacques Bergier.
Il Mattino dei Maghi è uscito grazie all’unione tra due caratteri profondamente diversi e complementari, dal punto di vista epistemologico ma anche politico. Bergier era filocomunista, mentre Pauwels era vicino alla Nouvelle Droite di Alain de Benoist. Bergier era un materialista, ammiratore dei coniugi Curie, mentre Pauwels uno spiritualista, discepolo del mistagogo caucasico Gurdjieff. Eppure, entrambi arrivano allo stesso punto. Tuttavia, credo che la figura di Bergier sia molto più interessante. Pauwels segue un percorso, in fin dei conti, piuttosto lineare. Parte da una visione politica elitista e approda alla Nouvelle Droite. Diventa seguace di Gurdjieff e arriva senza strappi a un ottimismo metafisico, non privo di ascendenze teosofiche, su cui si può benissimo non essere d’accordo.
Bergier invece, radicalizzando la propria visione materialista senza mai sopprimere quella curiosità che dovrebbe essere l’anima della scienza vera, arriva a una visione della materia molto più ampia e sfaccettata di quella cui siamo avvezzi. Bergier non ha bisogno di cercare dimensioni altre, suscitandole nella materia, raggiungendo l’Oriente tramite l’Occidente.
Abbiamo parlato di scienza vera, e una ragione c’è, dal momento che Bergier tiene sempre a distinguerla dallo scientismo, impalcatura dogmatica che soffoca la libertà della scienza – e degli scienziati – piegandola a pruriti ideologici o politici. Ecco, nel momento in cui la scienza si depura dallo scientismo e torna a scoprire la propria anima più autentica, si ricongiunge automaticamente con le discipline tradizionali. Questo è il programma de Il Mattino dei Maghi, dove i contenuti di Bergier finiscono nero su bianco grazie allo stile inconfondibile di Pauwels. È un gioco che è durato per una diecina e passa di anni, dopo di che ognuno è andato per la sua strada e il “mattino dei maghi” ha cessato di risplendere.

È vero che alla fine c’è stato un disaccordo tra i due?
Il pomo della discordia – come ricostruito in appendice all’edizione italiana di Io non sono leggenda, l’autobiografia di Bergier – è stato un libro che non è mai uscito e di cui esiste il dattiloscritto alla Bibliothèque Nationale de France. Lo scritto è di Pauwels e ci sono parecchie correzioni a margine di Bergier. Oltre al libro, tuttavia, il faldone contiene due introduzioni, una di Pauwels e l’altra di Bergier. Il dramma è che le due prefazioni si sconfessano a vicenda, speculari ma contrapposte! Insomma, dopo un fecondo decennio di contaminazioni reciproche, Bergier torna a fare Bergier e Pauwels torna a fare Pauwels…

È esatto dire che le conoscenze di Bergier, le sue sorprendenti esperienze, sono dovute in parte al fatto che aveva lavorato per i servizi segreti e pertanto aveva avuto accesso a conoscenze fuori dalla portata della maggioranza degli studiosi?
La risposta è affermativa, anche se Bergier ne parla pochissimo (per ragioni ovvie). Nella sua autobiografia allude spesso ai suoi contatti con i servizi segreti, ma dice e non dice. In compenso, c’è tutta una serie di romanzi in cui vi sono personaggi ispirati a lui. I loro autori hanno cifrato il nome di Bergier, su esplicita indicazione del diretto interessato. Le tracce del suo impegno ci sono per chi le sa cercare. Ne ho qui uno di fronte a me, mai pubblicato, scritto dal solo italiano cifrato da Pierre Drieu La Rochelle nel suo Gilles… Un potente mago del tempo, a sua volta arruolatosi nella Resistenza e poi finito nel dimenticatoio.
C’è però un’altra cosa da dire. Il Mattino dei Maghi è noto ai più perché è stato il primo libro a parlare di nazionalsocialismo “esoterico”. Il novanta per cento degli studi dedicati al nazismo “occulto” è uscito dopo Il Mattino dei Maghi – e giustamente ha tra le fonti bibliografiche questo libro. Ma Bergier ne parla perché, avendo partecipato al processo di Norimberga in qualità di testimone, ha avuto accesso a una quantità enorme di documenti ed è stato tra i primi a imbattersi in questa dimensione particolare – oggi di dominio pubblico, un tempo un po’ meno. Se vogliamo, questo è uno dei frutti del suo arruolamento nei servizi segreti. Ha consultato alcune carte, organizzandole mentalmente e traendone dossier su dossier, poi sviscerati narrativamente nel suo capolavoro degli anni Sessanta.
D’altronde, è noto come Bergier avesse un’intelligenza superiore alla media. Sebastiano Fusco, traduttore del Sepher Yetzirah e tra i maggiori esperti italiani di Cabala, mi ha raccontato che una sera aveva incontrato Bergier e gli aveva dato tre dei libri di Lovecraft che aveva curato. I due avevano cenato insieme ed erano rimasti in piedi fino alle due di notte. Il mattino dopo, si sono rivisti alle otto: Bergier aveva letto tutti e tre i libri, trattenendone i contenuti e restituendoglieli. Oltre ad essere un lettore vorace (tre o quattro volumi al giorno…), era anche uno scrittore molto prolifico.
C’è poi un’altra caratteristica molto interessante di Bergier, vale a dire la sua attività di catalogatore dell’inesplicabile. Da vero scienziato, era molto interessato a tutti i fatti che in qualche modo sfuggono alle spiegazioni logiche. Potrebbe essere considerato un accademico di Ignotica, la disciplina che Giovanni Papini propose di inserire nelle università, dedicata a tutto ciò che ignoriamo.
L’“amante dell’insolito e scriba dei miracoli” (come aveva fatto scrivere sul proprio biglietto da visita) ricorda il suo grande maestro: Charles Fort, autore di New Lands, The Book of the Damned e altri libri, di cui uno solo è tradotto in italiano. Fort ha passato la vita a raccogliere ritagli di giornali dedicati a fatti inspiegabili, catalogandoli in scatole di scarpe. Anche i libri di Fort sono antologie di eventi possibili e impossibili ad un tempo, tracce di una realtà che c’è e non c’è, dimensioni che ancora dobbiamo svelare.

È stato detto che Bergier era un vero resistente, un nemico del pensiero unico. Concordi con questa definizione?
Bergier si è sempre opposto a qualsiasi tipo di tirannia – delle maggioranze, così come delle minoranze. La sua resistenza, tuttavia, non si esaurisce in una protesta sterile, ma ha un fondamento metafisico e metaideologico. Tra le sue – moltissime – letture figura il nome di Colin Wilson, scrittore fondamentale per comprendere gli ultimi due o tre secoli europei. Nei suoi libri, Wilson parla della natura inerziale della storia e del mondo. Ambedue non chiedono altro che rimanere come sono, mantenere il moto che li caratterizza. Rivoluzionario è colui che infonde energia all’inerzia, che ha il coraggio di imprimere la propria volontà a qualcosa che ama mantenere il proprio stato. È l’Outsider, nella bella definizione wilsoniana, che non di rado paga la propria dissidenza con l’emarginazione. È colui che deve resistere ai “parassiti della mente” – come titola un altro suo romanzo, di fatto il manuale di ogni vero resistente –, i quali infestano l’immaginario di quegli uomini e donne che potrebbero condurre l’umanità a un repentino salto in avanti, con rischi che nessuno sarebbe in grado di calcolare. I grandi innovatori della storia vengono paralizzati da queste forze infere e subpersonali, che “salvano” l’umanità, mantenendola nel suo stato gregario, primitivo e, in fondo, innocuo.
L’inerziale è conservatore per natura. Nel libro appena citato Wilson si chiede come mai tutti i grandi innovatori, scienziati, intellettuali o politici, che hanno lottato per migliorare la condizione del genere umano, siano finiti male. Si dà questa risposta: in realtà, pur credendo di fare il bene del genere umano, gli offrono mezzi troppo potenti e potenzialmente distruttivi, ragion per cui l’umanità attiva potenti anticorpi per debellarne l’attività.
È la stessa visione che troviamo in un testo straordinario di Bergier, intitolato I libri maledetti. Qui il Nostro parla della misteriosa setta degli “uomini in nero”, che dall’inizio dei tempi brucia biblioteche e perseguita scienziati e sapienti. Il rogo di Alessandria e la Santa Inquisizione sono solo alcune delle loro prodezze. Questi personaggi, paradossalmente, fanno il bene dell’umanità, togliendole i mezzi con cui essa progredirebbe a una velocità tale da autodistruggersi, generando un’Apocalisse senza rivelazione.
In poche parole, chiunque si opponga a questa visione inerziale della storia è un rivoluzionario. E rivoluzionario è colui che oppone l’energia all’entropia, come diceva Evgenij Ivanovič Zamjatin in Noi, che Bergier sapeva a memoria. Per farlo, basta conoscere le leve per partecipare al Grande Gioco, magari cambiandone le regole. Bergier le conosceva eccome, come già detto, avendo lavorato nei servizi e svelato gli enigmi del mondo esoterico e alchemico.
Naturale si opponesse anche al pensiero unico. Naturale abbia formulato ne Il Mattino dei Maghi l’idea fondamentale che il fantastico non è una dimensione altra dal reale, ma ciò che accade quando rinunciamo ai nostri pregiudizi e incrociamo lo sguardo della realtà per la prima volta. Ecco, questa è forse la dottrina fondamentale di ogni forma di resistenza “verticale”.

Il mattino dei maghi prevedeva che l’evoluzione della società e dell’umanità sarebbe andata di pari passo con il progresso scientifico. Questo non è accaduto, anzi, sembra che le nuove tecnologie creino molti più problemi di quanti ne risolvono. Come si spiega ciò?
In alcuni casi, bisogna dire che l’ottimismo di Pauwels e Bergier è un po’ una posa… Dobbiamo ricordare che Il Mattino dei maghi esce negli anni Sessanta: il decennio di un pessimismo disperante, dell’esistenzialismo, di Sartre, dell’uomo condannato a essere libero. Così Pauwels, più che Bergier, adotta una sorta di ottimismo dall’innocenza pagana come antidoto al pessimismo generale.
Bergier indica invece un superiore realismo – il realismo fantastico, appunto, che non cede né a pessimismi né a ottimismi. Il positivismo è finito – dice –, siamo entrati in una fase di nuove tecniche che danno all’uomo una nuova immagine di sé e aprono nuovi orizzonti. Ma, per la prima volta nella storia del mondo, noi continuiamo a ragionare con i parametri usati un secolo prima.  Quindi auspica l’avvento di una nuova filosofia che ci riallinei con i tempi che ci sono stati dati in sorte. Dal momento in cui si crea una nuova visione all’altezza del presente, tutto ciò che sembra scisso e lacerato – scienza e teologia, materia e immaginazione – si ricompone in un’unità. È una visione della scienza simile a quella rinascimentale, quando si cercava l’unità dei saperi e non la loro separazione. Sono convinto che Bergier tentasse di evocare questa dimensione, affacciatasi più volte in Europa e sempre rifondabile. Da questo punto di vista, a quasi mezzo secolo dalla sua scomparsa, il suo messaggio è più vivo che mai. Il “mattino dei maghi” può, insomma, tornare a squarciare le tenebre delle nostre pigrizie intellettuali.

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