Sotto il segno dell’invisibile

Sotto il segno dell’invisibile

In questo articolo, Florinda Balli passa dal ruolo di intervistatrice a quello di intervistata e risponde alle domande che Francesca Schaer le pone sui suoi romanzi.

Quale è il tema centrale della tua scrittura, ciò che definiresti il tuo leitmotiv?
 Cio che sta al centro della mia scrittura è la presenza di una dimensione che chiamo invisibile e che sottende la realtà materiale. Questa presenza è avvertita più o meno consciamente da tutti, anche se non tutti la riconoscono perché contraddice le certezze della cultura dominante.
Nei miei romanzi ho scelto di dare agli interventi dell’invisibile una forma fantastica per sottolineare quanto di straordinario, di inatteso, a volte di inquietante c’è in questa dimensione. Nel primo lavoro, La voce ritrovata, la protagonista si trova proiettata in un altro tempo e addirittura in un altro corpo. Nel Sentiero delle dee velate si tratta di un’eredità spirituale, un compito rischioso, che viene a scombinare la vita di una giovane donna troppo protetta. Nel Manoscritto di Clavel uno psichiatra scopre la realtà delle vite passate. Le Tesstrici  affronta il difficile tema del femminile attraverso l’esistenza di un ordine segreto di sacerdotesse. Nel Giardino delle mandragore l’invisibile si manifesta nell’azione sottile della pianta magica, da sempre oggetto di proiezioni e leggende. Perché ritengo importante prendere atto della presenza dell’invisibile? Perché questa coscienza rende la vita infinitamente più ricca e interessante e aiuta a far pace con il fatto che, in fin dei conti, siamo tutti esseri venuti dall’invisibile e destinati a tornare nell’invisibile.

Quale è i tuo rapporto personale/atteggiamento nei confronti dell’invisibile?
Credo di avere un profondo rispetto dell’invisibile.  Mi sforzo di riconoscerne le correnti nella mia vita, il che è tutt’altro che facile perché sono una persona comune e non un’illuminnata e di conseguenza nel quotidiano non ho una sensibilità particolare che mi fa percepire presenze o influenze sottili. Quando qualcosa non mi è chiaro ricorro solitamente ai metodi divinatori che più mi sono familiari: I-Ching o Tarocchi e questo non per predire il futuro, bensì per comprendere le trame dell’invisibile.

In che forma hai esplorato questa dimensione nella tua vita?
Nel corso della vita ho avuto la fortuna di conoscere persone e frequentare ambienti che mi hanno aperto vie di esplorazione dell’invisibile e nello stesso tempo mi hanno reso diffidente verso le banalizzazioni di una certa moda, più tesa a realizzare gli scopi dell’io che a compiere un’autentica evoluzione della coscienza. Fin da bambina ho sentito parlare di teosofia e di reincarnazione. Più avanti, grazie anche il mio lavoro di giornalista, ho avuto la fortuna di assistere tra le altre cose alle ultime sessioni di Eranos, lo straordinario centro culturale fondato ad Ascona da Olga Froebe e da Carl Gustav Jung. Ne ho conosciuto l’allora direttore, Rudolf Ritsema, grande esperto di I-Ching. Grazie a Ritsema, ho incontrato tutta una serie di persone quali gli etnologi Jean Servier e Dominique Zahan, il fisico Olivier Costa de Beauregard, il filosofo Jean Brun e lo storico dell’arte René Huighe che mi hanno aperto per così dire gli orizzonti dell’invisibile.

Come è nata in te la certezza che la nostra vita sia in parte condizionata da questa dimensione?
Credo che chiunque abbia un minimo di sensibilità e di attenzione per gli avvenimenti della propria vita e di quella delle persone che lo circondano debba riconoscere la presenza di una forza che in certi casi contraddice il volere razionale dell’io. Ogni essere umano è un mistero che la psicologia svela solo in parte.

Reputi una necessità che sempre più persone si pongano domande riguardo al loro rapporto con l’invisibile? Puoi dare dei consigli in questo senso?
Secondo me è assolutamente imprescindibile porsi domande sull’Invisibile se non si vuole procedere alla cieca nella vita, sballottati qua e là dalla “buona” o dalla “cattiva” sorte. Ciò vale in particolare nella seconda metà della vita, quando certi traguardi materiali dovrebbero essere stati raggiunti. Non è facile dare consigli in questo campo. Semmai consiglierei di evitare di “rifugiarsi” in una sola teoria, o dottrina, anche se la tentazione è molto forte. Certo, l’adesione a una dottrina è rassicurante e oltretutto offre il conforto della guida di “maestri” e della compagnia di “fratelli”. Ma alla fine, secondo me, si rivela quasi sempre una trappola in quanto limita lo spazio di esplorazione. Questo almeno è quanto ho avvertito io. Non escludo però che un altro temperamento, meno curioso e “bastian contrario” del mio, possa trovare appagamento nell’approfondire una dottrina quale che sia. Non parlo assolutamente di derive settarie contro dalle quali mi ha sempre protetto un istinto fortissimo. Inoltre bisogna tenere conto del fatto che stiamo vivendo un periodo di profondo cambiamento, nel quale secondo me, l’invisibile preme alle porte, scombussolando certezze e abbattendo un idolo dopo l’altro. Ciò rende ancora più difficile orientarsi.

Come immagini l’invisibile? Esistono infinite ipotesi per definire e descrivere questa dimensione che tu hai scelto di chiamare semplicemente invisibile. Quali teorie ti paiono più plausibili e quali meno? Quali sono le tue supposizioni?
Mi è molto difficile rispondere a questa domanda. Nel corso della vita ho esplorato varie dottrine e teorie, ma, come ho detto, non mi sono mai legata a nessuna. Posso dire di essere molto attratta dalla tradizione ermetica. Non a caso vari personaggi dei miei romanzi, dalla Voce Ritrovata al Giardino delle Mandragore  sono alchimisti. Mi affascina la tesi della spiritualizzazione della materia come ultimo stadio dell’evoluzione umana. Inoltre  l’alchimia è ancora in gran parte un mistero e il mistero mi piace.  Per questo scrivo romanzi con elementi di “giallo”. Personaggi come Fulcanelli, di cui si ignora tuttora la vera identità nonostante le varie ipotesi che sono state formulate in proposito, mi sembrano molto affascinanti.

Cosa hai scoperto nel corso degli anni sull’invisibile? Come è cambiata nel corso degli anni la tua prospettiva e come si è evoluto il tuo rapporto?
In gioventù ho pensato, come credo un po’ tutti, che l’invisibile si potesse scoprire seguendo dei corsi, meditando, facendo esercizi di vario tipo. Oggi credo che sia soprattutto l’attenzione ai fatti apparentemente insignificanti della vita che permette di percepire meglio la presenza dell’invisibile. Vi sono anche persone che sono naturalmente in contatto con questa dimensione e che possono aiutare a connettersi quando se ne sente il bisogno.

Hai avuto esperienze che ti hanno rivellato qualcosa di inaspettato e hanno cambiato la tua visione della realtà?
Ho avuto alcune esperienze, molto poche per la verità, ma i miei contatti con l’invisibile sono avvenuti quasi esclusivamente attraverso la scrittura. Mentre scrivo, ho spesso la sensazione di essere guidata. Questi contatti sono bastati per convincermi che esiste una dimensione oltre il materiale.

Come pensi che evolverà nel futuro il rapporto che la nostra società intrattiene con l’invisibile?
Non saprei proprio dirlo.  Da decenni se non da secoli si parla dell’emergere di una nuova coscienza, ma per ora non mi sembra che se ne veda nessun segno. Anzi, semmai pare che il mondo occidentala sprofondi sempre più nel materialismo. Non mi pronuncio sul resto del mondo che non conosco abbastanza bene. Ma nonostante tutto, come dicevo, ho la sensazione che l’invisibile prema alle porte. Comuque non dobbiamo dimenticare che il nostro passaggio in questa dimensione terrena è breve, mentre l’invisibile ha tutto il tempo del mondo.

Puoi raccontare la genesi delle trame dei tuoi libri?
Il primo romanzo, La voce ritrovata, è nato nello stesso modo in cui nascevano le storie che mi raccontavo da bambina. Ho avuto un’infanzia molto solitaria e avevo l’abitudine di inventare delle avventure attorno a personaggi che mi affascinavano. Nel caso della Voce ritrovata è stata una melodia barocca a suscitare in me il desiderio di creare una storia ambientata nel Settecento. All’inizio l’ho scritta per me. L’idea di pubblicarla è nata solo in seguito, grazie all’intervento di alcuni amici a cui l’avevo fatta leggere. Gli altri tre romanzi successivi sono stati invece scritti per essere pubblicati, anche se lasciavo che le storie e i personaggi si sviluppassero spontaneamente. In altre parole non facevo nessun piano del romanzo, come si dice facciano molti scrittori. Per Il giardino delle mandragore invece ho preso lo spunto da un libro di Piero Scanziani che parlava dei poteri sottili dei talismani in generale e della mandragora in particolare. Posso dire che è stato il primo dei miei romanzi di cui sapevo in anticipo come si sarebbe svolto.

Quali aspetti dell’invisibile vorresti esplorare nei tuoi prossimi libri?
Per il momento non ho ancora progetti precisi. Mi affascina il tema del rapporto tra femminile e invisibile, ma si tratta di un tema difficile e delicato. Comunque l’invisibile ha molte forme e molte sfaccettature e sono certa che l’ispirazione non mi mancherà.

Come è cambiato il tuo rapporto con la scrittura, da primo libro, scritto una ventina di anni fa, all’ultimo, scritto l’anno scorso. Senti che il processo di scrittura è cambiato e potrebbe continuare a cambiare in futuro?
Ho già risposto in parte a questa domanda. Sento che la mia scrittura sta diventando in un certo senso meno legata a una forma particolare di “trance”. I primi romanzi, e soprattutto il primissimo, sono stati scritti quasi sotto dettatura per così dire, al punto che, a posteriori, mi capitava di non ricordare i nomi dei miei personaggi, o le vicende che avevo scritto. Ancora oggi, quando rileggo La voce ritrovata, avverto come una forma molto particolare di energia, o di contatto con l’oltre. Questo processo si è attenuato nei romanzi successivi ed è cessato del tutto con Il giardino delle mandragore. Penso che d’ora in poi la mia scrittura sarà più “mia” e meno “magica”, anche se il tema dell’invisibile sarà sempre presente.

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