Dalla voce all’invisibile
Eleonora Moro vive e lavora a Milano. Il suo lavoro consiste nell’aiutare le persone a conoscere e a usare al meglio la propria voce. Un percorso assolutamente personale il suo, che apre a dimensioni affascinanti e sconosciute.
Come sei arrivata a lavorare sulla voce?
Attraverso un mosaico di esperienze diverse, ma del resto considero il mio lavoro come un processo che è ancora in trasformazione. La mia ricerca è iniziata con il teatro e la musica. Fin da piccolissima ho sentito il richiamo del palcoscenico. Quando frequentavo la scuola elementare, organizzavo degli spettacoli ai quali facevo partecipare i miei compagni. Quindi posso dire che per me il teatro sempre stato un linguaggio naturale. Per quanto concerne la musica, da bambina possedevo una piccola tastiera e passavo ore a suonarla. Anche mio nonno suonava per diletto il clarinetto e il violino e ciò ha ancora accresciuto in me il piacere della musica dal vivo e mi ha spinto a continuare questa esperienza. Così ho scelto una scuola media con indirizzo musicale. Lì ho incontrato quello che è stato il primo seme del teatro. Infatti nella mia scuola venivano a insegnare i giovani appena diplomati alla Paolo Grassi di Milano. Così sono venuta a conoscenza di questa scuola dove il teatro e la musica sono le due materie principali. La Paolo Grassi è la scuola di teatro che ho seguito anch’io e dove insegno tuttora. In precedenza avevo deciso di frequentare il liceo classico perché volevo conoscere il teatro greco e quello latino per prepararmi a lavorare in teatro. È stata insomma una chiamata molto forte. Dopo il liceo, ho fatto il provino per entrare alla Paolo Grassi come attrice. Nel frattempo facevo già parte di una compagnia teatrale professionale. Facevamo spettacoli sia teatrali che concerti. Facevamo musica klezmer, un tipo di musica popolare molto particolare. Suonavo la chitarra classica e i miei primi viaggi, a sedici-diciassette anni, sono stati legati a quella compagnia con cui facevo teatro e musica. Ricordo che ho preso l’aereo per la prima volta per andare a Praga a fare uno spettacolo. Da lì non mi sono più fermata. Naturalmente, quando sono entrata alla Paolo Grassi, che è un’accademia strutturata, ho dovuto seguire tutti i passi previsti dal percorso di studio. Ma, anche se mi sono diplomata in regia, ho continuato a fare l’attrice mettendo insieme il percorso di regista con quelli di attrice e di musicista. Così è nato il lavoro sulla voce, perché sono stata chiamata da registi che erano stati i miei insegnanti a scuola, per fare l’assistente e in particolare per occuparmi dell’allenamento vocale degli attori.
Fin qui stiamo parlando di allenamento vocale classico?
Certo. Nelle scuole di teatro si fanno degli allenamenti vocali di base. Il primo lavoro consiste nel togliere le maschere, c’è un lavoro sulla dizione, un lavoro di pulizia. Poi c’è un lavoro di potenziamento della voce, perché in teatro si recita senza microfono, e poi c’è l’ultimo lavoro, quello più squisitamente teatrale, che è quello espressivo. Io però sono sempre stata incuriosita dagli effetti che chiamerei energetici del lavoro sulla voce.
Che tipo di effetti?
Quando facevo i percorsi vocali che definirei standart, mi accadevano delle cose particolari, dei fenomeni di apertura, delle sensazioni di gioia del tutto inattese. Ricordo ad esempio che andavo da un’osteopata che mi aiutava, perché sono alta un metro e settantacinque e il lavoro sulla voce mi alzava ancora di più. Poi però, soprattutto quando cantavo, mi capitava di vedere quella che potrei solo chiamare l’impronta energetica delle persone. In altre parole, oltre alle sensazioni prettamente fisiche, ho cominciato ad avere delle percezioni più sottili e questo mi ha spinto ad indagare. Nota che io queste cose non le racconto quasi mai perché ho sempre sentito che, anche se per me questi stati erano del tutto normali, i miei insegnanti ad esempio non percepivano niente di simile. A volte queste sensazioni mi spaventavano, perché ero molto giovane e quindi avevo il bisogno di dare un senso a ciò che mi stava succedendo. Così ho cominciato ad avvicinarmi ad altri ambiti, come la bioenergetica. Ho ricevuto degli aiuti importanti, soprattutto dalle tecniche legate al corpo. Infatti il lavoro sulla voce apriva verso l’alto, ma sentivo che dovevo anche mantenermi radicata. Ho seguito tutta una serie di percorsi che vanno dalla meditazione Zen, al lavoro sulle Costellazioni per tentare di comprendere queste esperienze che gli altri non provavano. Questo bisogno era particolarmente impellente perché a quei tempi lavoravo ancora molto come attrice e ciò amplificava ancora le mie sensazioni.
In che senso?
Nel senso che la vita dell’attore, il fatto di essere sempre in giro, con persone che non avevo scelto, di non avere propriamente una casa, di fare moltissimo allenamento e di non avere un vera vita quotidiana, dava importanza al lato creativo della mia vita ma non favoriva il radicamento. Inoltre lavoravamo sui dei testi: Shakespeare, Euripide… eravamo sempre a contatto con delle parole molto alte. Un giorno ho visto che uno dei miei insegnanti leggeva un libro. Era “Il libro della vita” di Krishnamurti. È stato così che ho cominciato a interessarmi a certi argomenti, in modo in apparenza del tutto casuale. Ogni volta che leggevo qualcosa che parlava di cose “altre” rispetto alla materia che studiavo, mi ritrovavo, riconoscevo le sensazioni che avvertivo quando cantavo. Così ho trovato, praticamente da sola, quello che ancora adesso è il mio metodo di insegnamento, un metodo che consiste nel mettere insieme gli aspetti fisici della voce con quello che la voce apre come mondo di consapevolezza. In altre parole mi occupo di far sì che il respiro e tutti quegli esercizi che sono normalmente degli esercizi di liberazione della voce trovassero un radicamento. Ho cominciato a unire ciò che avevo imparato dalla bioenergetica, dallo yoga, dall’apnea e da altre “pratiche” come ad esempio quelle contemplative della meditazione e sono arrivata a creare tutta una serie di esercizi per insegnare agli altri ad aprirsi ma nello stesso tempo a non andare troppo “altrove”. Anzi, per riportare il suono dall’altrove a QUI.
Oggi chi ti segue nel tuo lavoro sulla voce? Sono attori, o piuttosto persone che fanno altre cose?
Attualmente sono in un momento di grande transizione, anche perché ho una bimba di sei anni e quando è nata mia figlia ho vissuto tutte le trasformazioni fisiche che avvengono con la gravidanza e il parto. Il diaframma si è spostato e ho dovuto ricominciare tutto l’allenamento della voce, il che non è stato facile. Inoltre, seguendo la mia bambina, ho assistito alla nascita della sua voce e ho avuto modo di studiarla. Per cui oggi lavoro ancora con alcuni teatri, insegno alla Paolo Grassi e faccio dei laboratori intensivi per gli attori che vogliono entrare nelle Accademie. Comunque anche senza nominare i Maestri cerco sempre di portare ai miei allievi gli aspetti più alti della vocalità. Inoltre sto lavorando per Chora Media, come coach per la loro academy di podcast. Infine , qui nel mio studio, lavoro con persone che non fanno necessariamente teatro. Al momento ad esempio seguo professionisti e consulenti che vogliono migliorare nel loro aspetto di conduzione autentica o di relazione con la voce, psicologi che desiderano approfondire l’aspetto della voce in relazione terapeutica, insegnanti, sia individualmente che nelle scuole. In questi casi affronto anche certi aspetti della regia, ossia come lavorare quando ti confronti con un pubblico, perché una classe è sempre un pubblico.
Ti avvicini agli aspetti terapeutici del lavoro sulla voce?
Si. Ho approfondito certi aspetti del lavoro sulla voce non propriamente legati al teatro e al canto, ma l’ho fatto in modo spontaneo. Soprattutto dopo il covid, quando tornare a lavorare sul respiro in presenza era qualcosa di molto impattante per le persone, è stato importante per me fare una formazione specifica. Ho lavorato per un anno al centro Mindfulness qui a Milano. L’ho fatto per avere più strumenti nella conduzione di piccole pratiche contemplative o di meditazione legate alla presenza e alla salute. Inoltre ho seguito una formazione sul massaggio per integrare anche questo apetto nel lavoro con le persone. In precedenza avevo lavorato per molti anni nelle terapie intensive, approfondendo la comunicazione con medici e infermieri. È stata un’esperienza che mi è piaciuta molto e che spero di poter riprendere prima o poi. Mi piace definire terapeutico il mio lavoro, nel senso che è di supporto per centrarsi rispetto alla propria salute e per diventare veicoli di salute anche per gli altri. Ciò è vero soprattutto per chi si prende cura, ossia gli psicologi, gli insegnanti, i genitori. Mi piacerebbe dare a quante più persone possibile gli strumenti che permettono di diventare più saldi nel piacere della propria vocalità e presenza, perché ciò diventi come un seme che si sparge nelle famiglie, nelle scuole, nelle piccole e grandi comunità.
Per saperne di più: www.eleonoramoroteatro.com