Quando l’animale ci fa da specchio
Chatrigna Ferguson. Il nome stesso parla di Engadina e di terre più lontane. Questa donna la cui rara capacità comunicativa si estende anche agli animali, ha messo da poco le radici in Ticino, dopo vent’anni trascorsi negli Stati Uniti. Con lei ha portato le sue due bellissime mustang spagnole: Wohpeh e Peyata.
Ci sono voluti molti sforzi e non poche spese per far arrivare in Svizzera i due animali che a loro volta hanno dovuto abituarsi al clima del nostro paese, così diverso dal loro Colorado natale. Chatrigna, esperta di medicina cinese, pratica anche una forma particolare di terapia nella quale l’animale diventa suo alleato nello scoprire i problemi del padrone.
“È una forma di ricerca empatica” ci dice Chatrigna, “nella quale l’animale è in un certo senso il riflesso del padrone. Questo vale sia per i cavalli, ma anche per i cani, i gatti, le galline, i pappagalli e altri animali ancora. Infatti ho constatato che, se un animale ha dei problemi emozionali e comportamentali, questi problemi corrispondono sempre a un disagio del padrone. Quindi l’animale ha in un certo senso il compito di aiutare l’umano a cercare dentro di sé per scoprire i suoi blocchi. Le sedute che faccio con il padrone, lavorando attraverso l’animale, possono andare molto nel profondo a dipendenza di quanto la persone è aperta e disposta ad apprendere su di sé.
Come procede: dice alle persone ciò che l’animale comunica? Normalmente lascio che sia la persona a fare la domanda a me piuttosto che il contrario. Infatti, se si lavora nel profondo le persone si spaventano nel sentirsi interrogare e ciò le induce a chiudersi e a non dire più niente. Se invece sono loro a porre la domanda, in un certo senso scelgono di aprirsi e quindi sono anche più pronte ad accogliere la risposta.
Quindi l’animale fa da specchio al padrone? Certo. Animale e padrone sono assolutamente simbiotici.
E questo vale per tutti gli animali? Un cane o un gatto che vivono in casa con il padrone hanno più facilità di contatto con lui. Ma non dobbiamo dimenticare che il cavallo ha una capacità telepatica simile a quella dei delfini. Le mie cavalle sanno esattamente quando sto arrivando perché in pratica percepiscono la mia intenzione fin da quando decido di partire da casa.
Come ha imparato a comunicare con gli animali? È un interesse che coltivo fin da bambina. Ho seguito anche una formazione negli Stati Uniti, ma credo che in questo tipo di lavoro vale più che altro la pratica. La teoria semmai viene dopo, quando la si può supportare con l’esperienza. Negli Stati Uniti ho lavorato negli ippodromi e ho curato cavalli da corsa, da salto, da dressage, da polo. In questo tipo di ambienti le persone tengono moltissimo ai loro cavalli e quindi, usando l’intuito e il tatto, ho potuto far loro capire perché a volte il cavallo non stava bene o non era in forma. Così anche il padrone scopriva bruscamente un suo problema di cui fino ad allora non era cosciente. Gli animali ci danno delle possibilità eccezionali di conoscerci meglio, ma il nostro ego e la nostra mente spesso ci mascherano la realtà e fanno sì che non cogliamo queste occasioni.
Cura anche persone che non hanno animali? Sì, ma il lavoro è sempre in qualche modo collegato agli animali. Per esempio ci sono persone che mi dicono che hanno sempre amato i cavalli e che, nonostante non abbiano mai montato, ogni volta che vedono un cavallo si sentono commossi fino alle lacrime. A quel punto si può fare una seduta per tentare di capire che cosa muove in loro il cavallo. In molti casi le mie mustang mi aiutano a capire meglio ciò che succede in una persona, perché una mostra il lato maschile e l’altra il femminile. È bellissimo osservare come la prima si avvicini alle persone che stanno lavorando con la loro parte più attiva e combattiva, mentre la seconda è attratta da quelle che hanno da fare con il loro aspetto più ricettivo e accogliente. Quando tutte e due arrivano insieme, si vede che la persona è in equilibrio. Non è un caso se questi due bellissimi animali sono entrati nella mia vita. Dobbiamo guardare ogni singolo avvenimento come una parte di un puzzle, di un disegno che ha un senso preciso. Se lo facciamo vediamo che piano piano i pezzi si mettono insieme.
Ci vuole un dono particolare per comunicare con gli animali? Credo che ci voglia soprattutto la volontà di farlo. Il dono è di tutti, ma naturalmente ciascuno ha le sue priorità e i suoi interessi: se ci piacciono le moto e le auto da corsa, per fare un esempio, è ovvio che presteremo meno attenzione ad altre cose. Ma mi pare che oggi sempre più persone siano affascinate dagli animali.
Come è nata questa nuova apertura? Direi che tutto è cominciato con la scoperta della sensibilità dei delfini. Abbiamo cominciato a chiederci come mai questi animali, assolutamente selvatici e liberi potessero percepire i messaggi della mente umana, al punto di arrivare nel momento giusto o comunque di “rispondere” in qualche modo.
C’è però anche una paura diffusa, specie nei confronti dei cani… Credo l’aggressività dei cani nasca da una sempre maggiore aggressività delle persone che, non lavorando su se stesse diventano strumento di paure e rabbie ancestrali che vivono con noi da secoli e secoli. Certo, ci sono cani da guardia, cani pastori che ovviamente possono in certi casi comportarsi in modo aggressivo, ma ho visto doberman e pitbull dolcissimi, proprio perché i loro padroni erano persone dal cuore aperto. Devo dire che qui in Svizzera i cani sono molto più aggressivi rispetto agli Stati Uniti. L’Europa è piena di tecnologia, di rumore, di inquinamento e la gente dimentica spesso che la ricchezza non basta per star bene. In America, nonostante tutto, ci sono molte persone aperte al nuovo, desiderose di capire, mentre qui il più delle volte la reazione di fronte al nuovo è il rifiuto.
Non c’è speranza di cambiamento per il Vecchio Mondo? Certo che c’è speranza! I bambini piccoli in particolare mi sembrano avere un codice molto diverso da noi adulti. Ciò fa loro capire tante cose. Perciò penso che sarebbe peccato che venissero rovinati dalla scuola e da un’educazione sbagliata.
Intervista a cura di Florinda Balli