Preserviamo un nucleo di bellezza
Erica Francesca Poli è medico psichiatra, psicoterapeuta e counselor. Direttore scientifico di EFP Group – Centro di Terapie Integrate. Membro di società scientifiche, tra cui IEDTA, ISTDP e OPIFER. È autrice dei libri Anatomia della Guarigione – i sette principi della Nuova Medicina Integrata, 2014; Auto-ipnosi – co-creare il cambiamento con 2CD, 2015; Anatomia della coppia – i sette principi dell’amore, 2015; Auto-ipnosi – quantica con 2CD, 2016; Anatomia della Coscienza Quantica – la fisica dell’auto-guarigione, 2016; Poìesis – psicoterapia in poesia, 2017, Anima Edizioni; Le emozioni che curano, 2019, Mondadori; (con Maurizio Grandi) Mille giorni d’oro, 2020, La Torre. In questa intervista risponde alla domanda che molti di noi si pongono: come convivere con il Coronavirus?
Mi collego a un’intervista fatta a una specialista della task force svizzera per l’emergenza Coronavirus. Concludendo il discorso, l’intervistata ha detto che dovremo trovare un modo di convivere con il virus per i prossimi due anni. Secondo lei, come possiamo trovare questo modo?
Le risponderò da psichiatra, perché in questo problema ci sono considerazioni che coinvolgono la psiche. Tuttavia la psiche di una persona è inserita in un contesto e quindi devo fare una premessa che è più medica che psicologica o psichica e che serve a inquadrare il problema. Questa premessa non la faccio io, ma la fanno i virologi e non gli epidemiologi, o gli infettivologi che purtroppo a volte parlano di qualchosa di cui dovrebbero invece parlare quelli che se ne occupano davvero, ossia i virologi. Che cosa dicono i virologi? I virologi dicono che ci sono dei dati: per esempio i tamponi. Che cosa rilevano i tamponi? I tamponi non rilevano i malati, rilevano le persone positive a un tampone che deve esaminare alcuni ceppi e alcune frazioni molecolari. Tra l’altro, tenendo conto di tutto il discorso su quello che può essere l’attendibilità o meno del tampone. Quindi i tamponi rilevano dei positivi. Noi sappiamo però che i positivi possono essere sintomatici o non sintomatici, contagianti o non contagianti, malati o no.
Secondo dato: la mortalità di questo virus, lo dice l’Istituto superiore di Sanità italiano, ma lo dice anche l’OMS, si aggira attorno allo 0,1% – 0,5%, ossia non è irrisoria, ma è una percentuale molto ridotta rispetto a quella di altri Coronavirus del passato, come la SARS, che era addirittura del 36%. Terzo dato: in realtà i bambini e i giovani, salvo eccezioni, non contraggono l’infezione o perlomeno non nella forma sintomatica. Questo è un virus che interagisce fortemente con il sistema immunitario e quindi va visto in relazione alla complessità dell’individuo nella sua patogenicità. Tant’è che la mortalità colpisce soprattutto persone che sono portatrici di una condizione medica preesistente che li rende vulnerabili. Visto questo quadro, e considerato che normalmente nelle epidemie del passato, virus come la SARS o anche virus più antichi, come la peste o la Spagnola, ci mettevano circa due anni nella loro espressione e poi remissione, quello che dice questa collega, o questa consulente, è assolutamente condivisibile. Anche se il Covid non è la Spagnola, non è la peste bubbonica, comunque c’è uno scenario che non si risolve assolutamente nel breve. Perché dico questo? Perché il primo dato per poter convivere con una realtà che non ci aspettavamo e che indubbiamente crea dell’angoscia è quello di gestire la conoscenza.
Oggi per quello che vedo io, c’è una forte disparità sul come viene gestita la comunicazione. C’è una disparità tra Stati latini, ad esempio, e Stati del nord Europa, o paesi come la Corea. Ora per convivere con una realtà bisogna fare un lavoro di conoscenza, di consapevolezza. Ma di nuovo, nella quotidianità di oggi c’è il grande tema di come vengono gestite le informazioni e quindi se è vero che c’è una pandemia, c’è stata anche una infodemia. In altre parole c’è stata una pandemia di informazione, dove purtroppo i social e internet fanno la loro parte, ma la fanno anche i telegiornali e le scelte mediatiatiche diverse da Stato a Stato. Quindi c’è da fare una riflessione sul modo migliore di aiutare le persone a pensare con la propria testa, che non vuol dire essere negazionisti o complottisti, ma cercare di capire da che fonte vengono le notizie, cercare di filtrarle, di non soggiacere al bombardamento terroristico mediatico in cui siamo arrivati ad avere persone che sono costantemente connesse con i dati dei tamponi e dei contagi in tempo reale.
Ecco, scusi se la interrompo, ma il fatto che quotidianamente ci sia, ad ogni telegiornale, questa contabilità dei contagiati, dei decessi, non è molto violento come comunicazione?
Lo è assolutamente. È molto violento, nel senso che come una volta facevi la preghiera la mattina e la sera e ti insegnavano a dire l’Angelus, il Padrenostro e l’Avemaria. Adesso c’è la religione dei contagi. Quindi l’orazione mattutina e serale non è più la preghierina che ti protegge ma è il controllo dei dati e questo è un lavoro anche subliminale nel senso che crea un campo di paura. Quindi il primo dato per convivere con una realtà che in effetti resterà per un po’ di tempo con le caratteristiche descritte dai virologi, la prima cosa da prendere in considerazione è che cosa le persone sentono, che cosa capiscono. Ad esempio il discorso della differenza tra contagiato e positivo al tampone è fondamentale perché le persone comuni non sono virologi. Quindi bisognerebbe spiegare che una persona positiva al tampone non è necessariamente malata, non è necessariamente sintomatica, non è necessariamente contagiosa.
In questo senso che cosa si potrebbe consigliare ai governi per migliorare la loro comunicazione perché attualmente stiamo assistendo a una fisarmonica, prima le maglie sono più larghe, poi si restringono… Che consiglio si potrebbe dare ai governi?
Di scegliere innanzitutto una rosa di esperti accreditati e realmente competenti. Faccio un esempio: in Germania ci sono pochi virologi che parlano. Il primo che parla è quello che ha isolato il virus della SARS. Era un giovane specializzando quando l’ha isolato e forse lui qualcosa ne sa più degli altri. Quindi scegliere una rosa di specialisti, non uno solo perché altrimenti sembrerebbe il portavoce di una dittatura e bisogna preservare il pluralismo delle voci. Ma una rosa che sia ristretta e il più possibile accreditata. Noi stiamo assistendo ormai, e lo si vede anche dai social, da Facebook e altri, a una Babele di consulenti, a titolo più o meno accreditato, che parlano dicendo ciascuno la sua con il risultato di una grande confusione e alimentando la paura. Oggi la paura è più virale del virus.
Che tracce può lasciare la paura?
Le tracce le sta già lasciando e la lascerà a lungo termine. C’è stato in febbraio, appena iniziato il confinamento, un bello studio pubblicato da Lancet che mostrava una revisione degli effetti delle quarantene circoscritte nei periodi della MERS e della SARS e dimostrava che gli effetti delle misure restrittive determina traumi veri e propri e quindi disturbi posttraumatici da stress che hanno colpito un numero significativo di persone. Inoltre queste stesse misure causano l’aggravarsi di tutte le psicopatologie preesistenti e dunque l’ansia, la depressione, gli attacchi di panico, la fobia sociale, l’ipocondria, le dipendenze da alcol e da sostanze, le situazione di maltrattamento familiare. Perché queste misure non fanno altro che lasciare più sole e più scoperte di cure e di contenimento sociale ed emotivo le persone fragili. Abbiamo avuto servizi che hanno chiuso, la Salute mentale abbandonata a se stessa, abbiamo avuto un incremento dei suicidi. Questi tra gli effetti a breve termine. Quindi fasce di popolazione fragili ne hanno pagato le conseguenze perché hanno avuto meno cure, o cure meno competenti e comunque su di loro la paura del contagio ha avuto un effetto maggiore. I dati OMS che ci dicono che presumibilmente alla fine del 2020, si stima che sarà raddoppiato a livello mondiale il numero di persone affette da depressione. Partiamo da un 6% nel 2019, arriveremo a un 13 %, secondo l’OMS, verso la fine del 2020. Il che vuol dire 268 milioni di persone nel mondo. Non voglio essere polemica, voglio solo essere oggettiva, ma se facciamo le stime tra chi morirà di COVID e chi si suiciderà o starà male per anni… non dico altro. Il dato si commenta da solo.
Assolutamente. Ma che cosa possiamo coltivare per non andare in quella direzione pessimistica o di insofferenza?
Ecco, qui viene il mio ruolo, quella parte che però doveva forzatamente avere una premessa perché altro sarebbe se ci trovassimo in una situazione diversa, come un’epidemia di peste bubbonica, o un altro tipo di contesto. Il mio ruolo consiste proprio nel riflettere su come possiamo convivere, come possiamo adattarci senza però cadere in quelle situazioni che vediamo e che sono o da un lato la difesa negazionista, per cui divento ribelle a qualsiasi regola e mi schiero in qualche modo, perché questo serve a gestire la mia angoscia. Non dimentichiamoci infatti che un virus è un elemento angosciante per la psiche perché non si vede, non si tocca, non permette alcun controllo e quindi crea nella psiche la paura senza oggetto che è fonte di angoscia e di impotenza. Allora le persone si difendono in due modi estremi: la negazione, e quindi sbuffano, si mostrano insofferenti, ma in realtà stanno gestendo la loro paura in quel modo. Oppure, all’altro estremo, fanno sì che la paura domini la loro vita e quindi diventano ossessive nel senso opposto, fino quasi alla fobia e alla paranoia e diventano anche estremamente giudicanti rispetto agli altri. Per fare un esempio, quest’estate, in un quartiere della piccola città di mare dove ho trascorso le vacanze c’erano dei cartelli che dicevano: “In questo quartiere si controlla il vicinato”, come dire che se non ti mettevi la mascherina venivi denunciato. Cose che abbiamo visto in tempi più bui della storia dell’Europa e anche del mondo. Quindi questi due estremi nei due casi fanno male. Fanno male alla società, fanno male all’individuo, fanno male alla psiche del profondo. Che cosa possiamo fare? Come prima cosa, come ho già detto, tentiamo di pensare con la nostra testa e di informarci in modo corretto. Punto due: stabilizziamo il nostro campo. In una situazione di emergenza la prima cosa che si perde è il senso di sicurezza. Ma il senso di sicurezza in realtà è da costruirsi dentro di noi prima che fuori e il senso di sicurezza interno lo si costruisce con delle cose molto semplici, quelle cose che facevano i nostri nonni e cioè stare attenti alle proprie abitudini, avere dei rituali personali che diano il senso della continuità. Dedicarsi a cose che piacciono, avere spazi di piacere. I nostri nonni, sotto le bombe della seconda guerra mondiale riuscivano a trovare quei momenti. Mio nonno ad esempio mi raccontava che trovava sempre dieci minuti per suonare il mandolino. Ossia continuare a preservare un nucleo di bellezza che per fortuna è fuori dal tempo, fuori dallo spazio ed è quello che ha salvato le popolazioni di tutti i tempi dall’impazzire in una situazione di pericolo. Viktor Frankl, lo psicologo dei lager, è riuscito non solo a sopravvivere in quella situazione terribile, ma anche a preservare la sua psiche conservando dei rituali di bellezza, di benessere interno. E questo lo possiamo fare anche confinati. È il preservare quelle cose che ti fanno esistere come individuo, i tuoi gusti, le cose che ami, anche gli affetti se li hai, ma soprattutto i contatti con la parte interna di te. Continuare a sognare, continuare ad avere un progetto, continuare a spostare la linea del tempo al di là di ciò che sta accadendo. Allora, guarda caso, anche il sistema immunitario se ne giova e avremo un sistema immunitario più forte. E chi sono i maestri in queste cose? I due estremi: i bambini e i vecchi perché sono fuori dai giochi dell’utile, sono fuori dai giochi dell’opportunità e possono sognare, possono giocare ad altre cose, possono avere la fantasia, immaginare, stare fuori dalle logiche razionali. Ecco, abbiamo bisogno di contattare almeno una volta al giorno questo tipo di energia se vogliamo andare avanti e mantenere la calma dal punto di vista della razionalità, ossia informarci correttamente. Ossia, capisco, cerco di usare la testa per capire e poi vado a contattare il profondo, vado a contattare quel qualcosa che è fuori dalle logiche del tempo e dello spazio, della politica e dell’economia. È un elemento che viene dalle stelle, che viene dalla poesia, che viene dall’arte e che mi rigenera, mi rigenera anche a livello cellulare.
I video-corsi di Erica Francesca Poli sono disponibili su www.anima.tv